19 dicembre 2009

Neve all'uliveto

La bambina osserva come il mondo può andare, il clima non è affar suo.
A lei interessano gli animali del bosco. è lì a dire all'istrice che il suo capitano ci deve far crescere i suoi piselli, che adesso giacciono sotto la neve.





Le rose erano abituate ad un clima più mite. Nessun preavviso, il ghiaccio le ha sorprese in atteggiamenti primaverili.





Il grande olivo aspetta con sospetto la notte, ha lunga memoria lui. Si ricorda di 25 stagioni fa quando molti abitanti di quella terra non si risvegliarono.





Cala la sera, sono rimaste solo le impronte del gigante buono, adesso non resta che dormire e aspettare la primavera.

14 dicembre 2009

Davanti alla stufa

Mentre fuori tira un vento gelido proveniente dalle montagne innevate, qui all'uliveto ho acceso la mia stufa a legna e con il mio nuovo portatile, a lume di candela mi son messo a fare il programma di lavoro invernale.




Sorseggiando la mia creatura, che non è un brunello, ma comunque si fa apprezzare, la candela mi tiene compagnia più di un telegiornale pilotato dal dittatore.
La lista è lunga, inizia con i lavori rimasti in sospeso dall’inizio della vendemmia e della raccolta delle olive.




Devo consolidare e finire la parte esterna della capanna, compreso il montaggio della porta, individuare la parete più adatta per farci la finestra.

Il deposito dell’acqua grande perde un’altra volta, c’è da fargli il trattamento con mapegum (consigliato da maioma).

Piazzare le cisterne nel burroncino, collegarle insieme e con il tubo di polietilene devo portare l’acqua fino ai terrazzi sotto, mettere i rubinetti e fare l'impianto goccia a goccia per l’orto sinergico.

Ci sono 15 piante di marroni che aspettano dal 2006 di essere piantate definitivamente in un posto consono per le loro esigenze. Questi marroni vengono da un vivaista della zona che doveva liberare il campo per altre piantagioni.

Estendere la recinzione a tutto l’uliveto per contenere le escursioni dei selvatici alquanto affamati.

Potare le viti e sistemargli i pali, rimettergli il fildiferro, rimpiazzare quelle seccate con la siccità e innestare a spacco quelle selvatiche.

Potare e concimare gli olivi è il lavoro più lungo, poi quest’anno devo trovare un trattorista che mi fa un viaggio con del letame di cavallo, che da queste parti te lo danno gratis.

Importante, non posso rimandare ancora, c'è da fare il compost toilet.

29 novembre 2009

Incontri tra grandi e piccoli bionieri

Scritto da Tiziana

Credo che la piccola Ma del gruppo Maioma abbia disegnato un bellissimo ritratto di bioniere.
Caro Mattia, hai chiesto a mia figlia di trovare un simbolo per questi uomini nuovi, di pensare un logo che li rappresentasse.
Ma chi meglio di una delle tue tre figlie poteva farlo?
Loro che hanno rappresentato se stesse come barche in mezzo al mare, in viaggio misterioso,
e non come casette dai terrazzi pieni di gerani, con il vialetto ben tracciato davanti alla porta d’ingresso e la bella automobile rossa parcheggiata con grazia, come fanno quasi tutti i bambini felici d’allevamento, ops!!!.. d’appartamento!
La piccola Ma ha messo in questo piccolo disegno tutte le sue pagliuzze d’oro.
Ma, ti chiedo scusa per averti detto:
- Che carino!!!!
Come quegli adulti scemi che a volte non si sforzano neanche un po’quando parlano coi bambini.
Il disegno è delicato come una filigrana e non ho aguzzato la vista quando mi hai mostrato il foglio
con orgoglio.
Ti avevo anche dato il soggetto del disegno, che avrei voluto appendere al muro, come ricordo:
“ I due giorni che abbiamo passato insieme “.
Ho visto il piccolo elfo e ho pensato:
- Pazienza, non ci siamo capite....
Invece.
C’è il mare, come un orizzonte basso, un movimento di seta in fondo al foglio.
Di lato, a sinistra, una barchetta di carta disabitata, ti fa sentire molto solo.
E’ leggera leggera, con piccole vele a triangolo rettangolo che disegnano raffinate geometrie.
Per qualche assurdo motivo, senti che la solitudine di un uomo su una barchetta così bella sarebbe insopportabile.
Un naufrago in guerra tra vele stracciate e mare in tempesta,
con lo sguardo gli doneresti speranza, non sarebbe più solo, ma in lotta con te per la vita.
Ma un uomo lì a guardarti da quel ponte perfetto, su quel mare fermo senza vita....
Ti spezzerebbe il cuore, il suo lasciarsi andare al suo compiuto destino di navigatore senza timone,
per di più dotato dalla storia di bellissima barchetta di design.
Ma così fragile.
E immota.
Così è il destino di molti.
Ma non del bioniere!
Che calza ( o sogna di indossare) delle meravigliose scarpe con la punta arricciolata.
Per far vedere a tutti che lui se ne frega se la strada è dura e accidentata.
Lui ci ride sopra, con le sue scarpe delicate, magari rosse, magari fucsia!
Certo, è un uomo fortunato.
Primo, perché ha il coraggio di mettersi quelle scarpe.
Secondo, perché lui vola al centro del foglio sopra questo triste mare del mondo,
dentro un uovo leggero.
Forse la fantasia l’ha appena rubato alla barca e lui ride con le braccia aperte dentro al suo uovo.
Che è il suo riparo, la sua felicità, ma anche il suo limite.
Vorrebbe farci entrare gli altri, ma se lo meritano?
Lui intanto allarga le braccia e le manine a fiore.
L’uovo ha una base con riccioli, ma raffinata, mai eccedere con le decorazioni,
il bioniere ama la semplicità delle cose naturali, che Dio ha disegnato con grazia davvero difficile da imitare.
I colori a volte sono sgargianti, eppure l’insieme è sempre né poco, né troppo.
Il bioniere ama cercare questo limite.
Lui che non è né minimalista, né materialista, se avesse il coraggio potrebbe ammettere davati ai suoi simili che gli piace anche il barocco, ma è dura.
Una coda di scoiattolo esce dall’uovo, a destra.
Ma non è una coda.
Questa, piccola Ma, non la so interpretare.
Ma serve, perché l’uovo diventa più leggero, capisci che vola, che va, con dentro il suo bioniere.
In alto, svetta la bandiera dei pirati, il teschio sorride.
Sembra che il bioniere voglia mostrare a quelli del mare sotto, che lui sa che sono attaccati
ai loro forzieri pieni d’oro con le unghie e coi denti e che la battaglia sarà dura e cruenta.
Lui col questo bel sorriso e le scarpe a punta, mostrerà a tutti che la decrescita rende felici e fa volare, mollate i vostri dobloni, ve lo dico col sorriso, altrimenti sarete morti prima di morire davvero.
Accanto alla bandiera che sventola gagliarda, un comigliolo grazioso che fuma.
Vuoi forse dire, piccola amica, che anche il bioniere cede qualche volta, ma senza eccessi, alle lusinghe del capitalismo? E che comunque deve pur vivere e vivere consuma?
No, no, lo so che hai sette anni, solo sette!
Quella è la vita che vive dentro l’uovo,
il punto caldo e accogliente del foglio.
Un fuoco di legna, il seme di ogni casa.

Ecco qua il nostro incontro tra grandi e piccoli bionieri.
Perfettamente disegnato, da incorniciare.
Naturalmente aveva ragione il tuo cuore di bambina, avevi capito benissimo.
Piccola Ma, che dici, ho dimenticato o sbagliato qualcosa?
Ti vedo in questo momento che stai aprendo la porta di casa.
Sei appena partita da questo mondo e già tornata nel tuo.
Stento a credere che fossi qui appena quattro ore fa.
Stavo per chiudere e invece sì, ho dimenticato l’ancora.
E’ importantissima.
Dall’uovo parte un’ancora, è lanciata nel mare del mondo immobile.
L’ancora rimbalza sull’onda, non la scalfisce nemmeno.
Cemento su cemento.
L’ancora è fatta di due frecce che hanno la stessa origine.
Sono due frecce perfette, se ci fosse un quadrante segnerebbero le nove in punto.
La più corta mira la barca fantasma, l’altra porta lo sguardo verso il vuoto del cielo.
A guardarle mi si riempiono gli occhi di lacrime.

19 novembre 2009

Il tessitore-contadino

Riprendendo un discorso intrapreso da Nicola sulla non sostenibilità delle città, vorrei raccontare meglio il sistema produttivo che qualche anno fa rendeva funzionale Prato.

A differenza di molte città industrializzate del nord, a Prato c'era un livello di sostenibilità anche in tempi non lontani, diciamo fino agli anni sessanta e anche settanta, poi gradualmente tutto è cambiato. Era sostenibile perché il tessitore pratese non doveva andare in fabbrica per lavorare, perché il telaio lo teneva sotto casa. Dietro casa aveva il campo perché il tessitore pratese era un contadino smesso come si dice noi, ma noi toscani non ci riesce ad andare a farci comandare dai padroni. La moglie del tessitore dava una mano al telaio quando il marito era nel campo, i figli imparavano il mestiere e facevano i cannelli. Anche i lanifici, da qui il tessitore prendeva il lavoro, erano piccoli e numerosi. Spesso il tessitore non aveva neanche il camioncino perché c'era il "barocciaio" e le tele venivano annodate a mano oppure c'erano i primi "annodini" con la macchinetta.
Adesso, a causa dello "sviluppo" tutto è cambiato. I lanifici che gli è rimasto solo il nome di naturale, si sono internazionalizzati, producendo tante schifezze sintetiche mischiate a fibre naturali, che rendono il tessuto non più riciclabile come lo era un tempo. Ricordiamo che Prato era famosa per i "cenci", si riusciva a fare un tessuto di qualità con materiale riciclato.
Il tessitore- contadino si è estinto, i figli arrancano per andare in pensione, i nipoti si sono indebitati creando piccole tessiture all’avanguardia, che adesso devono smantellare svendendo i telai alla Tunisia o ad atri paesi dove la manodopera non costa nulla.
I cambiamenti sono avvenuti in modo graduale, la tecnologia ha fatto in modo che con la stessa manodopera si potessero mandare più telai e più veloci, così che ci voleva lo stanzone più grande, fatto lo stanzone non andava più bene, perché ci voleva la zona artigianale, fatta la zona artigianale si è detto che la produzione del tessuto non è da paese sviluppato, si deve fare in paesi emergenti, si compra e si rivende per guadagnarci di più.
Di tessitori pratesi ormai ce n'é rimasti pochi, le tessiture hanno operai stranieri, nella zona artigianale ci sono per la maggior parte confezioni cinesi, che spuntano come funghi creando un sistema a circuito chiuso.


Questo video è stato girato nella periferia di Prato, quando ancora il lavoro veniva sostanzialmente fatto sotto casa. Tutti si conoscevano, la gente poteva socializzare e avere momenti di gioco e svago in strada.

16 ottobre 2009

Honest Scrap

Ebbene, equipaje mi ha incastrato in un gioco di cui non sentivo la mancanza :-)
Dovrei dire secondo il gioco 10 cose che non sapete di me e indicare altrettanti internauti disposti a proseguire simile tortura!!!













1-C'era un tempo che vivevo per il calcio, ho giocato fino a 20 anni e tifavo Juve, adesso grazie a Moggi sono completamente disintossicato.

2-Sono anni che non vado dal parrucchiere.

3-Faccio parte della presidenza della Piana Pistoiese CNA.

4-C'è una frase storica che mi ricordano i miei vecchi compagni di scuola delle medie: ma lei professoressa lo sa smontare un motorino?!
La signora professoressa di italiano si vantava della sua "cultura" lasciandomi intendere che non avrei mai raggiunto il suo livello.

5-Nella mia vita gli animali hanno un ruolo affettivo importane. Attualmente ho una gattina di 14 anni e Mirtillo, che lo considero il mio compagno.

6-Non ho mai votato Berlusconi!!!

7-Ho tre fratelli e una sorella (poverina!) io sono l'ultimo, il cocco di mamma? ...il bastonato da tutti!!!

8-Sono uno spirito libero, odio i vincoli e soprattutto i "compiti". Non riuscirei a lavorare sottoposto, accetto consigli (con riserva) ma non gli ordini. Penso che ogni individuo deve tirare fuori quello che ha dentro.

9-Compro sempre cose usate. Per abitudine quando sono in furgone do sempre uno sguardo nei paraggi dei cassonetti, tante volte avessero buttato via qualcosa di interessante. "Riduci Riusa Ricicla".

10-Non ho ancora trovato la mia identità. Da sempre penso quale è il mio scopo in questa vita, non mi sento un numero.

Ci sono momenti che non vorresti turbare situazioni tranquille in casa altrui, cercherò di bussare con una penna di istrice? O rimarrò un'ombra silenziosa dispersa nell'abisso di internet...

25 settembre 2009

La vendemmia due

Quando l'ultima cassetta di uva rossa è finita nella pigiadiraspatrice, (prestatami da amici) il livello del mosto nella botte di resina da trecento litri era appena a metà.





...una voce ha detto: e il succo d'uva?
- ...ma...veramente ...pensavo che ci fosse più uva! ...

Per cogliere 150 kg d'uva eravamo in sette: La famiglia, compreso le nebulose, i nonni e mio fratello.
Come dicevo sopra l'uva non era molta, ma prevedo per il futuro un aumento graduale perché molte delle viti che ho recuperato dall'abbandono sono nel selvatico e hanno bisogno di essere reinnestate. Quando abbiamo finito, la truppa si è trsferita al "piano di sopra", dove la pasta madre aveva fatto il suo dovere, il forno doveva essere acceso per una giusta ricompensa del lavoro svolto. La nubulosa più grande sta diventando brava, ha fatto delle pizze buonissime.



I contadini toscani si facevano il loro vino genuino, ma per le feste non si facevano mancare un buon vin santo. In attesa che le mie viti possono darmi la giusta quantità di uva per sopperire alle mie necessità, domenica mattina sono andato a prendermi ben due cassette di uva trebbiano da un contadino di zona, questa è stata sistemata in graticci per l'appassimento e dovrà starci fino a dicemembre, dopo verrà strizzata e messa in un caratello con la madre.



E' uso comune fare il vin santo con il mosto di uva non appassita e l'aggiunta di zucchero, ma quello non si dovrebbe chiamare vin santo!!

20 settembre 2009

La fame di potere
























Sembra che nelle specie viventi della terra, sia vegetali che animali, lo scopo dell'intera esistenza, sia il dominio e la supremazia sulle altre specie e che incosapevolmente porterà al punto di arrivo, alla fine di tutto.

Le più resistenti, le più mutabili, le più cattive, riescono ad aver la meglio sulle altre. L'uomo il più "intelligente", è indubbiamente il più pericoloso. Ha il potere di danneggiare un equilibrio costruito in milioni di anni. Le cose cambiano, il mondo non è statico, si trasforma, si evolve, si avvicina alla fine, al punto di arrivo, ma molto lentamente.
Non è utile anticipare il destino della vita sulla terra. Ritengo che sia utile fare quello che sappiamo fare, osservare, ragionare, agire o non agire, trovare stimoli nelle cose semplici, nelle cose sicure e conosciute, ripristinare se mai è ancora possibile l'equilibrio biologico danneggiato per mettere in sicurezza il nostro meraviglioso pianeta, attualmente l'unico conosciuto vivibile.

Costruire l'arma vuol dire che qualcuno prima o poi la userà.

Adesso mi immagino al di sopra di tutto, un dio che vede tutto e giudica la terra in questo momento. Vedo l'uomo al punto di arrivo, sto aspettando solo che finisca le risorse a disposizione.
L'uomo è bambino, nel suo istinto c'è la conquista del mondo, deve soddisfare ogni suo desiderio provvisorio con ogni mezzo, il mezzo è una centrale nucleare, una fabbrica, una macchina troppo veloce, l'userà fino a che non batterà la testa e si metterà a piangere.
Gli adulti esistono, guardano stupiti, non ci possono far nulla, il potere è dei bambini!

Inspirato da:
Fili di paglia
Orto di carta
Selvatici

13 settembre 2009

La vendemmia

Ci siamo, la prova del nove di Harlock. L'uva è matura, nell'evolversi della vita un individuo deve affrontare i vari ostacoli che trova per arrivare al punto di arrivo.





Il vino è un ostacolo da superare, un icona che ti apre un universo, o ti butta fuori dall'olimpo dei cieli.

La cantina non è ancora completata ma ha un tetto e delle pareti, l'uva è sana e pronta per essere colta e trasformata in nettare del dio Bacco.





La prova del nove perché per un aspirante contadino autarchico di toscana, il vino lo deve saper fare.

Non piove praticamente dai primi di maggio, alcune viti sono secche, gli olivi soffrono, le piante da frutto giovani riescono a sopravvivere grazie alle irrigazioni che mi costano una fatica bestiale, ma l'uva in gran parte sembra non aver risentito la mancanza d'acqua.

04 settembre 2009

I cugini di campagna

No, non mi riferisco al noto gruppo anni 70, ma ai miei veri cugini.



















Un tempo esisteva un podere grande, molto grande... diciamo relativamente grande.




Famiglie numerose, imparentate tra loro, vivevano in simbiosi con l'ambiente circostante.




Poggio Galloro era poco distante. A poggio Galloro ci sono ancora dei ruderi. Si dice che quelle famiglie con quel cognome venissero da lì.



Una di quelle famiglie, quella più numerosa, quella con maggior terra da coltivare, conosciuta fino a valle, grazie anche alla bottega dove potevano vendere i propri prodotti, ecco quella era la famiglia di mio nonno. Poveretto mio nonno, rimase ucciso insieme ad un suo figlio proprio davanti alla bottega. I tedeschi in ritirata alla fine della guerra, seminavano mine come patate ...


Da allora la bottega passò in mano a mio padre, ma con la fuga della gente, dalle campagne, la bottega e il podere ebbero una lenta decaduta.
Costretto a trasferirsi, mio padre lasciò tutto a mio zio. Io non ho fatto in tempo a viverci, perché sono nato alcuni anni dopo. I miei due cugini ci vivono da sessant'anni e non hanno mai preso moglie. Vivono in una porzione di casa lasciando inabitati, un appartamento e una casetta. Ormai sono oltre dieci anni che sono ospite nel mese di agosto in questa casetta.
Tornarci ogni estate è sempre un piacere, anche se negli ultimi anni ci sono stati molti cambiamenti, gli anziani sono quasi scomparsi, le case hanno perso quell'aspetto rustico di una volta, non si coltiva più la terra perché ci sono troppi animali selvatici che non lo permettono.























Fino a tre anni fa, si faceva la battitura del grano con la raccolta manuale, ma anche questa non viene più praticata. Adesso i campi sono all'abbandono. Uno dei miei cugini aggiusta bici in città, l'altro fa il gattaro a tempo pieno e a tempo perso si è specializzato in abbattimento di calabroni con racchetta autocostruita.

Un posto ideale per scoprire il proprio talento





Si fa un po' quello che si vuole

19 agosto 2009

Tre di tre


Tra tastiera e zanzare tigre come kamikaze, mi sento un reporter di zona di guerra, nel vapore d’agosto che dà alla testa e un’esperienza da raccontare. Intanto il viaggio. Strano. Attraverso l’acqua. Attraverso le terre di Orto di carta. Lasciata la veste della tigre in ciabattine verdi che si fa avanti e indietro i suoi tre metri di gabbia, un pugno al vetro, si salta di là e si parte. Incredibilmente in quattro. Due, più “la nebulosa”. Come si sa, le analisi obiettive si fanno dall’esterno di un sistema. Complimenti a Mattia per questa definizione dei miei figli adolescenti. Tutto ciò che in me c’è di cristallino e brillante affonda in questa nebbia, ma devo tenermene fuori, non farmi assorbire dal nulla. Difficile, mi attira la loro energia nera. Energia che si alimenta della mia frustrazione e stanchezza, combattono per annullarmi e diventare sé stessi. Solo vorrei che avessero i mezzi per sapere cosa diventare. Vorrei moltiplicare per loro le esperienze. Per questo ho lottato e barato per portarli con me al progetto Maioma.
Non mi interessa fargli vedere quello che condivido, vorrei soltanto che vedessero, più cose, più modi. Ridono. Non vuoi che fumiamo e ci porti dove tutti fumano e il pacchettino di tabacco e le cartine sono sempre sul tavolo? Sei stupida.
Può darsi.
MaIoMa racchiude il nome di tre bambine indimenticabili, forti come la pietra della valle. E magnetiche. La pelle bianchissima, le testoline rasate, le collanine di corda e albero.
La prima è il ferro con pagliuzze d’oro, la seconda sta tra il rame e l’argento, la terza e piccolissima è una lama affilata e lucida d’acciaio. Hanno già assorbito la foresta dentro di sé. Come folletti ti inseguono e si arrampicano, le tue braccia trasformate in rami da cui dondolare e fare capriole.
Come una giornata al mare, ti lasciano senza forze. Le orecchie piene di gabbiani, la pelle graffiata dalla sabbia di vetro. Mi sono entrate dentro in un giorno, mi sembra di conoscerle da sempre. Le guardavo e le immaginavo tra dieci anni, in un possibile incontro a distanza nel tempo.
Difficile non abbracciarle. Certamente si ritrarrebbero, non capirebbero l’impeto d’affetto di una sconosciuta. Tre bambine. E tre cani e tre case. Di stoffa, di pietra e di paglia, quella che siamo andati ad aiutare a tirar su. E tre famiglie sconosciute, quella di Mattia e Valeria, quella di Dennys e Marina, quella di Fabio e Tati. Di lavoro alla fine non ce n’è stato molto, è apparso un tetto che non c’era. Conoscersi è stato il “lavoro”. Imparare la sensibilità di ognuno. Imparare gli oggetti. Riconoscere le proprie dipendenze. La mia è grave, mi fa sentire invalida. Dipendente dal vaso in ceramica ( di casa ) al cento per cento. Al secondo giorno mi sentivo male, al quarto se non tornavo a casa ero da pronto soccorso. Il compost toilet è stata una sfida, persa. Se il mio cane non riuscisse a mangiare senza ciotola, lo considererei inadatto alla vita. E così mi sento io. Ma che animale sono? Maledetto corpo pieno di vizi, dovrei allenarti, ma è un allenamento ben strano e difficile!
Il confine tra domestico e selvatico.
Diventa così chiaro quando sei nel bosco, in tenda, di notte e ti togli gli occhiali e li metti dietro il cuscino insieme alla torcia a manovella. Pensi a come il buio pesto senza occhiali diventi inspiegabilmente più pesto, eppure non puoi vedere meno di non vedere nulla. Si può vedere il nero fuori fuoco?
Mi sembrava di sì. allucinazioni da vapore acqueo.
La Valchiusella è montagna calda e umida. Si affaccia sulle risaie del Piemonte come si guarda nella pentola sul fuoco. Ha questo respiro di drago che dorme, la terra è morbida, un bel panettone a saltarci sopra, con affondate le più belle pietre che si possano immaginare, scaglie lucenti di tutti i metalli. I sentieri sono lastricati a sassi, protetti da muretti di sassi che finiscono in piccole case di sassi. Una pietra su dieci è metallica, l’effetto è notevole. I tabernacoli dipinti agli incroci e i castagni che custodiscono tutto questo nell’ombra e nel silenzio danno a questa piccola terra un’aura magica che lascia incantati.
A me mi veniva un po’ malinconia medievale, so che voi del gruppo Maioma l’avete sentita, ma non la so spiegare! Anzi sì, ma il gioco è bello quando dura poco e mi fermo.
Il CIR alla Greta ha portato l’occasione di questo incontro, poche parole a mezzanotte davanti ad una pizza mangiata in piedi hanno creato tutta questa a vita e tutti questi ricordi.
Onore e gloria al CIR e alla vita che si incontra!

Meeme
.

03 agosto 2009

Agricamping da Harlock

E' stato inaugurato il nuovo campeggio.





E' avvenuto sabato primo agosto per l'occasione del compleanno della piccola, che finiva sedici anni.
Disponiamo per adesso solo di una piazzola per tenda, perché non esistono terreni pianeggianti, ma si possono ricavare con qualche piccola opera di livellamento, basta prendere la zappa. Non disponiamo di acqua corrente, si prega la gentile clientela di portarsela da casa, perché qui serve per innaffiare quello che è rimasto nell'orto.
La cucina è aperta a tutti, dispone di stufa a legna, acquaio in graniglia, tavolo sei posti e quattro seggiole. Nei pressi della cucina c'è il rinomato forno di Harlock.
Ringrazio la improbabile gentile clientela, per il tempo impiegato a leggere questo messagio informativo.

24 luglio 2009

Bottiglia per le zanzare

No, non ho sbagliato, la bottiglia serve proprio per catturare quelle succhia sangue a tradimento!
Terminata la distribuzione delle bottiglie per la mosca olearia e avendo a disposizione ancora qualche bottiglia, mi è venuto un pensiero -ma si potrà catturare le zanzare con il solito sistema della bottiglia?
Ebbene cercando in internet ho trovato la trappola per le zanzare fatta con la solita bottiglia.
Basta prendere una bottiglia da due litri, tagliarla a dieci centimetri dal bordo rovesciare la parte superiore dopo aver tolto il tappo, sigillarla con del nastro adesivo e avvolgerla con del materiale nero. Gli ingredienti da inserire all'interno sono 50 gr di zucchero sciolto in 2 dl di acqua e 2 gr di lievito di birra.

Il tutto meglio descritto qui

10 luglio 2009

Quando hai visto l'ultima volta... (Ste)

...un fungo tanto bello quanto malefico?




...un fungo tanto strano quanto buono?

06 luglio 2009

E' l'ora che scriva qualcosa, ma che dire?

Chi non sa scrivere come me, si trova sempre in difficoltà quando il tempo passa e non ha scritto da molto tempo. Oh popolo di internet ma come fate ad avere sempre lo scritto pronto? :-)

Di cose da dire ce ne sarebbero tante, ma di interessanti non mi sembra.
Il lavoro quello vero continua a mancare, mentre quello più vero, necessita sempre di maggiore attenzione.
Ho iniziato a costruire una capanna di legno, servirà come cantina per il vino. Sarà costruita in un luogo dove erano state fatte due grosse cisterne in muratura per la raccolta dell'acqua piovana, penso che sia un posto fresco e adatto alla conservazione del vino. Intanto ho trovato dove rifornirmi di cisterne industriali da 1000 litri per la raccolta dell'acqua, queste hanno il bancale sotto rotto e per questo non le riutilizzano più, ma a me va bene lo stesso non le devo mica spostare. Le metterò nascoste alla vista, perche non è un bel vedere.

L'orto non mi ha dato molte soddisfazioni, a differenza della maggior parte d'Italia nel mio uliveto è piovuto pochissimo. Le patate hanno avuto varie selezioni, prima l'istrice, poi il caldo e la mancanza di acqua ne ha seccate precocemente una buona metà. Adesso attendo le altre che sono sempre verdi. Il vento di qualche settimana fa ha fatto molti danni, ha staccato un paio di innesti, compromesso i fagioli, piegato i filari delle viti, rotto un pesco carico di frutti e soprattutto ha diradato molto le olive.

Adesso basta con notizie negative, non voglio rattristarvi. Di buono c'è che il blog del forno è aggiornato per l'ultima volta, ho anche costruito un tavolo con il legno del cipresso caduto alcuni anni fa a causa del vento.




Nell'orto non tutto va male, per esempio i fagiolini, zucchetti, cavolo verza, carosello leccese, tortariello abbruzzese, pomodori e melanzane, stanno dando i propri frutti.


02 giugno 2009

Il mio primo C.I.R. all’Acquacheta


Non è un brutto modo di sentirsi, arrivare in una stanza, scambiare due parole con qualcuno, buttarsi su una sedia, seguire il ritmo della musica, fare un giro di danza, poi sparire senza rumore, assorbire il calore del forno come una lucertola, mentre altri che non conosci infornano la cena per tutti, sdraiarsi sull’erba a guardare le stelle intorno al fuoco alimentato da un pazzo nudo e simpatico, mentre un essere umano delizioso che viene dalla Patagonia parla nello stesso modo in cui suona e suona tutta la notte e te non sei più sicuro se stai sognando e quello che ti sembra di vedere non è un quadro di qualche visionario. Il suono del flauto di Pan riempie la notte senza luna, più ipnotiche del grande fuoco sono le montagne nere, il profilo aspro di carbone brilla della stessa luce fosforescente e fredda che emanano le stelle. La città è così lontana che l’arancione malato del cielo semplicemente non esiste e davvero non si può credere che qualche pescecane osi tagliare il crinale di quella stessa montagna per trasportare attraverso i boschi sacri e incontaminati quattordici enormi pale per la produzione di energia eolica. Che poi pianterà su quel carbone con grande stridio e saranno almeno cinque volte più alte degli alberi secolari intorno, svetteranno con la loro potenza ipnotica e il loro rumore sui boschi dell’Acquacheta.
Acqua silenziosa.
Per arrivare all’ecovillaggio si devono percorrere dieci chilometri di strada sterrata.
All’imbocco dell’ampio sentiero un cartello del comune di san Godenzo recita:


L’acqua scorre, silenziosa, tutto intorno. Adesso percepisco la bellezza di questo nome che meglio non poteva identificare un luogo di alberi imponenti e verdi di linfa abbondante, di felci, di ruscelli che declinano dolcemente senza fare rumore.
Quando il buio magico del bosco si apre sulle praterie bordate di ginestre, non riesci a vedere un paese, una casa, un traliccio, per quanto lontano guardi all’orizzonte.
Puoi assorbire un silenzio così raro, così puro, la mancaza assoluta del sottofondo, traccia del nemico, che è anche rassicurante, è il nemico che si conosce e che l’educazione ci ha insegnato ad affrontare. Quante volte ho pedalato ad un metro dalle ruore di un tir, mai sono salita su un albero più alto di un olivo.
La lontananza dall’asfalto si fa quasi paurosa. Un camper vecchio, scassato , colorato, pieno di cose.
Sul prato accanto un uomo coi capelli che sono tutti un nodo e tanta barba grigia sorride, qualche bambino biondo, un bel visino di giovane donna straniera.
Ho di nuovo quasi paura di tutta questa natura e dei miei simili che ha intracciato a sè, ho paura di non essere accettata, di fare troppo rumore, di tornare a casa più sola di come sono partita, di perdere la speranza. Di non appartenere più a nessuno. Diversa da questi e dagli altri, selvatica, ma di bosco senza spine. Attraversiamo barriere che siamo autorizzati ad aprire, ci chiudiamo cancelli alle spalle. Seguiamo segnali, attraversiamo acqua immobile e limpidissima.
Un albero diverso sembra segnare l’ultima curva, un cavallo, un recinto, la casa.
Irrompere con gran fracasso di ferro, finalmente spengere il motore.
Scendere pieni di meraviglia scherzando su quanto lontano l’uomo possa scappare dal mondo, venire subito a sapere che per quanto lontano tu possa scappare, ti trovano sempre.
La pianura ha bisogno di energia, possibilmente un energia verde, per consumare oltre il picco del petrolio senza sensi di colpa, come succede da sempre.
L’impianto non deve disturbare il cliente, si farà ad un chilometro dal confine del Parco Naturale delle Foreste Casentinesi, dove gli abitanti non protesteranno per il rumore che appassisce ogni vita, potranno solo scappare, scapperanno cervi, lupi, cinghiali e gli uomini? Quei pochi che si sono rifugiati qui, che proteggono e curano la montagna, che per rispetto della natura hanno scelto di vivere semplicemente, usando pochissima energia fornita da pannelli solari?
Il Comune è d’accordo a trasformare in autostrade quelli che definiva Sentieri Sacri.
A trasformare “la valle di immenso valore paesaggistico oltrechè storico-culturale” in “zona industriale camionabile”.
Esiste un blog www.ariacheta.blogspot.com/ per approfondire e partecipare.
Si stanno raccogliendo firme, la popolazione locale è esigua e come spesso succede, insofferente alle richieste d’aiuto, capisco bene la paura di esporsi propria dei piccoli centri.
Leggete questo.
Se non sapete come passare una domenica, fateci un giro.
Vedrete qualcosa di unico, prima che sia distrutto.
Potrebbe venirvi voglia di lottare perché non accada.
Ricorderò tutti voi del mio primo C.I.R. , Daria, Simona, Jimi, Juan, Andrea Papà, Mario Cecchi,Giuseppe, Mattia, il suonatore del flauto di Pan, le ragazze che danzavano, il suonatore di fisarmonica, l’uomo felice dai capelli pieni di nodi, Susy, i signori del Monte Giovo, i pazzi nudi sotto la pioggia con quel freddo, il ragazzo di Milano, il signore che mi ha abbracciato e non ci avevo mai parlato, quello che mi ha schiacciato forte un piede nudo, intorno al fuoco e non ha fatto una piega, ha continuato a guardare le stelle.
Tutti sono importanti, nessuno è indispensabile, una gran bella sensazione, assomiglia molto alla libertà.
Scrivo i vostri nomi prima che se li porti via il vento.
Tiziana

25 maggio 2009

Manca l'acqua

E ci ri-siamo! Con un inverno piovoso che sembrava promettere un'estate mite e con piogge regolari, manco a pensarlo, che le patete stanno già seccando,le nuove piante da frutto hanno già bisogno di regolari annaffiature. L'orto ha bisogno di acqua, ma la scorta è limitata, solo le piogge possono salvarlo. Sto prendendo in considerazione l'ipotesi pozzo, ma potrebbe rivelarsi un costo troppo oneroso, visto che in collina è difficile sapere con esattezza a che profondità si trova l'acqua.

11 maggio 2009

Il metato all'abetaia


Cosa ci fa un metato in mezzo agli abeti?!
...me lo son chiesto anch'io. E' un po' come chiedersi cosa ci fanno le piramidi in mezzo al deserto! ma prima non era deserto.
Ebbene anche l'abetaia non era abetaia, quel posto risulta segnato come uliveto-vigneto, c'è anche la testimonianza di un'ultima pianta d'olivo rimasta. I castagni sono poco distanti e questo dà un senso al metato.
Il posto ha un certo fascino. Gli abeti sono altissimi, la vista è aperta sulla pianura, così che dalla pianura si distingue bene quella fascia verde scuro.
Non ci vado spesso, è un pezzo di terra distante dalla strada principale, ci si accede da una piccola mulattiera che con il mio furgone non ci si passa.
La mia mtb in inverno va in letargo, ma a primavera si risveglia e uno dei percorsi preferiti è il giro all'abetaia. Non è distante dall'uliveto, ma manca sempre l'occasione per andarci, come manca l'occasione per risistemare il metato che ormai non ha più il tetto e i muri stanno franando.

30 aprile 2009

L'istrice e le patate


Sono tre anni che semino le patate e tre anni che devo fare la tara all'istrice.
Ho seminato le patate in quattro posti diversi, così che se ne trova uno l'altro è salvo, ma lui ne ha già trovati due. Le prime patate fatte fuori sono state proprio quelle dentro la recinzione, che probabilmente serve solo per i cervi e i caprioli. A differenza degli altri anni, quest'anno ci ha dato giù pesante, ha lasciato solo due piante nel primo terrazzo dove è stato. Adesso ci ho messo i fagiolini.
Ma la sorpresa è stata quando ero per andare via che mi accorgo di un'altra buca scavata lì di sotto, nooo! non credevo che sarebbe arrivato in quella zona, lì vicino c'è la strada e le case, non ha paura di niente.
Forse dovrò ricredermi sull'idea di seminare le patate nel bidone o in vecchi pneumatici come fanno al nord ;-) O magari fare l'orto sul balcone, il balcone non ce l'ho, ma il piazzale sì.

21 aprile 2009

La strada

E ci vuole il terremoto per capirlo!

Enrico Luzzi, non è certo il mio idolo, ma guardate questo video.


19 aprile 2009

Gli innesti

Miracoli della natura!


Innestare è una cosa che mi dà molta soddisfazione, specie se il risultato è positivo. Sembra che in questa stagione gli innesti stanno andando molto bene.

Nel mio uliveto ormai ci sono molte piante innestate da me. Ho imparato innestando castagni qualche anno fà. Il modo migliore per far diventare un marrone, una semplice pianta di castagno, è l'innesto a corona fatto su una giovane pianta di circa 5 cm di diametro. Ma un'altra tecnica quasi infallibile è l'innesto ad anello: il nesto è un intero anello di corteccia con una gemma, che viene inserito nel portainnesto di uguale misura.


















Per una maggior probabilità di riuscita è bene proteggere l'innesto dagli agenti atmosferici. Io uso dei coni di cartone, (scarti della tessitura) perfetti per lo scopo, ma va bene anche carta o cartoncino. Lo scopo e di creare un contenitore per poter metterci della rena, in modo da impedire che il nesto (o marza) non si disidrati.


















Innesto di pero su cotogno









Mandorlo su mirabolano









Gli olivi si innestano ad aprile. Ho usato piante cresciute da vecchia ceppaia e di difficile classificazione, per innestarci la razza frantoio, che rende un olio di ottima qualità organolettica e pendolino, ottimo impollinatore.


















Su pianticelle spontanee più giovani, ho praticato l'innesto a spacco , sempre con buon risultato (per ora). ;-)







11 aprile 2009

Pasqua con le candeline

Non ricordo quante volte ho finito gli anni per Pasqua, ma questa volta sicuramente lo ricorderò.
I miei primi quaranta, mi suonano strano, mi sanno di vecchio. Sì lo so, dicono che la vita comincia a quarant'anni, ma a me piaceva più quando ne avevo venti. A venti non avevo la tendinite, non mi facevano male le ginocchia, e neanche mi veniva il fiatone quando montavo su un albero. Ma soprattutto non ero ancora allergico. Quella pasticchina che prendo quasi tutte le sere, mi fa sentire un malaticcio.


Poi penso a quei poveri disgraziati che gli è crollata la casa addosso, sento che sono soprattutto fortunato, con tutta la famigliola unita e una casa settecentesca decisa a portarmi fino al mio destino. La compagnia del mio fedele cane fratello, mi accompagna nelle mie utopie, nella ricerca di un modo di vivere più sostenibile.

26 marzo 2009

Contadino per passione, o per paura?

A volte mi chiedo, ma chi me lo fa fa', d’ammazzammi di fatica, per un po' d'olio e qualche verdurina fresca.
Se paragonato al lavoro che c'è da fare per riuscire ad avere qualche frutto, sembra che non ne vale la pena, ma se pensi alle schifezze che ci vendono al supermercato, allora sì che ne vale la pena.

A "Striscia" stasera hanno fatto vedere cosa fanno con mucche che dopo anni di sfruttamento intensivo per far latte, si ammalano: lo chiamano il fenomeno delle "mucche a terra". Queste non possono più camminare con le loro zampe e devono abbaterle sul posto, ma illegalmente sono caricate e scaricate dai camion con modi alquanto rozzi, trascinandole con argani e trattori. (meno male che io il latte lo prendo direttamente dal contadino e le poche mucche che ha sono felici di vivere).

22 marzo 2009

Potatura olivi

Tempo di potatura per gli olivi.

I motivi principali per cui l'olivo va potato sono: la formazione e il mantenimento della pianta; ottimizzare la produzione in modo di avere un raccolto costante da un anno all'altro.

Esiste il fenomeno dell'alternanza di produzione, che in parte si può contenere con una potatura più o meno forte rispetto all'anno di carica e di scarica.

La scelta dei rami da tagliare non è sempre ovvia, specie negli alberi molto vecchi e magari potati male in precedenza. Dobbiamo sapere che l'olivo fruttifica principalmente nei rametti dell'anno precedente e che deve avere un'esposizione solare più ampia possibile.

La forma delle mie piante è principalmente a vaso, che consiste in una forma a imbuto, con un tronco principale abbastanza basso, (meno di un metro) che si dirama con tre branchie principali, diventando sei in altezza. Su tutte le branchie partono i rami di sfruttamento, che necessitano di un ringiovanimento nel tempo, sostituendoli con nuovi ributti.

Adesso proverò a scrivere il mio metodo di potatura.

Guardo l'aspetto generale della pianta, perché non tutte le piante devono essere potate allo stesso modo. Salgo sopra togliendo i polloni, (questi non fruttificano e tolgono forsa ai rami principali) tolgo i rametti che s’indirizzano verso l'interno, poi salgo sulle branchie fino a che posso arrivare nella parte più alta, dove la vegetazione è molto vigorosa e necessita maggior sfoltimento. Per il taglio dell'estremità più alta è importante aver visto prima di salire se l'altezza della pianta è giusta. Continuo scendendo in basso, tagliando i rami incrociati, quelli che hanno già fruttificato e a sfoltire dove la luce non riesce ad entrare. Bisogna fare attenzione a non togliere rami importanti nella parte bassa, perché l'olivo tende sempre a formare nuovi rami in alto dove c'è più luce e in basso tende a rimanere scoperto. Finisco con riequilibrare la pianta da terra usando magari lo svettatoio.

Non uso mai la scala per potare, sono del parere che, se non puoi arrivare da sopra la pianta a tagliare i rami estremi, va tagliato il ramo più grosso dove si può arrivare.







Olivo prima e dopo la potatura.








Un olivo in stato di abbandono, torna ad assere un grande cespuglio come nella sua natura. Questo produce olive molto piccole e difficili da raccogliere.








Questi sono olivi destinati a finire dietro le sbarre, delle ville!








(dedicato a equipaje)

C'è qualcuno, incurante della dignità di un albero mitologico come l'olivo, che lo concia in questo modo. E' come mettere la camicia con i fiorellini a Chuck Norris.