29 novembre 2009

Incontri tra grandi e piccoli bionieri

Scritto da Tiziana

Credo che la piccola Ma del gruppo Maioma abbia disegnato un bellissimo ritratto di bioniere.
Caro Mattia, hai chiesto a mia figlia di trovare un simbolo per questi uomini nuovi, di pensare un logo che li rappresentasse.
Ma chi meglio di una delle tue tre figlie poteva farlo?
Loro che hanno rappresentato se stesse come barche in mezzo al mare, in viaggio misterioso,
e non come casette dai terrazzi pieni di gerani, con il vialetto ben tracciato davanti alla porta d’ingresso e la bella automobile rossa parcheggiata con grazia, come fanno quasi tutti i bambini felici d’allevamento, ops!!!.. d’appartamento!
La piccola Ma ha messo in questo piccolo disegno tutte le sue pagliuzze d’oro.
Ma, ti chiedo scusa per averti detto:
- Che carino!!!!
Come quegli adulti scemi che a volte non si sforzano neanche un po’quando parlano coi bambini.
Il disegno è delicato come una filigrana e non ho aguzzato la vista quando mi hai mostrato il foglio
con orgoglio.
Ti avevo anche dato il soggetto del disegno, che avrei voluto appendere al muro, come ricordo:
“ I due giorni che abbiamo passato insieme “.
Ho visto il piccolo elfo e ho pensato:
- Pazienza, non ci siamo capite....
Invece.
C’è il mare, come un orizzonte basso, un movimento di seta in fondo al foglio.
Di lato, a sinistra, una barchetta di carta disabitata, ti fa sentire molto solo.
E’ leggera leggera, con piccole vele a triangolo rettangolo che disegnano raffinate geometrie.
Per qualche assurdo motivo, senti che la solitudine di un uomo su una barchetta così bella sarebbe insopportabile.
Un naufrago in guerra tra vele stracciate e mare in tempesta,
con lo sguardo gli doneresti speranza, non sarebbe più solo, ma in lotta con te per la vita.
Ma un uomo lì a guardarti da quel ponte perfetto, su quel mare fermo senza vita....
Ti spezzerebbe il cuore, il suo lasciarsi andare al suo compiuto destino di navigatore senza timone,
per di più dotato dalla storia di bellissima barchetta di design.
Ma così fragile.
E immota.
Così è il destino di molti.
Ma non del bioniere!
Che calza ( o sogna di indossare) delle meravigliose scarpe con la punta arricciolata.
Per far vedere a tutti che lui se ne frega se la strada è dura e accidentata.
Lui ci ride sopra, con le sue scarpe delicate, magari rosse, magari fucsia!
Certo, è un uomo fortunato.
Primo, perché ha il coraggio di mettersi quelle scarpe.
Secondo, perché lui vola al centro del foglio sopra questo triste mare del mondo,
dentro un uovo leggero.
Forse la fantasia l’ha appena rubato alla barca e lui ride con le braccia aperte dentro al suo uovo.
Che è il suo riparo, la sua felicità, ma anche il suo limite.
Vorrebbe farci entrare gli altri, ma se lo meritano?
Lui intanto allarga le braccia e le manine a fiore.
L’uovo ha una base con riccioli, ma raffinata, mai eccedere con le decorazioni,
il bioniere ama la semplicità delle cose naturali, che Dio ha disegnato con grazia davvero difficile da imitare.
I colori a volte sono sgargianti, eppure l’insieme è sempre né poco, né troppo.
Il bioniere ama cercare questo limite.
Lui che non è né minimalista, né materialista, se avesse il coraggio potrebbe ammettere davati ai suoi simili che gli piace anche il barocco, ma è dura.
Una coda di scoiattolo esce dall’uovo, a destra.
Ma non è una coda.
Questa, piccola Ma, non la so interpretare.
Ma serve, perché l’uovo diventa più leggero, capisci che vola, che va, con dentro il suo bioniere.
In alto, svetta la bandiera dei pirati, il teschio sorride.
Sembra che il bioniere voglia mostrare a quelli del mare sotto, che lui sa che sono attaccati
ai loro forzieri pieni d’oro con le unghie e coi denti e che la battaglia sarà dura e cruenta.
Lui col questo bel sorriso e le scarpe a punta, mostrerà a tutti che la decrescita rende felici e fa volare, mollate i vostri dobloni, ve lo dico col sorriso, altrimenti sarete morti prima di morire davvero.
Accanto alla bandiera che sventola gagliarda, un comigliolo grazioso che fuma.
Vuoi forse dire, piccola amica, che anche il bioniere cede qualche volta, ma senza eccessi, alle lusinghe del capitalismo? E che comunque deve pur vivere e vivere consuma?
No, no, lo so che hai sette anni, solo sette!
Quella è la vita che vive dentro l’uovo,
il punto caldo e accogliente del foglio.
Un fuoco di legna, il seme di ogni casa.

Ecco qua il nostro incontro tra grandi e piccoli bionieri.
Perfettamente disegnato, da incorniciare.
Naturalmente aveva ragione il tuo cuore di bambina, avevi capito benissimo.
Piccola Ma, che dici, ho dimenticato o sbagliato qualcosa?
Ti vedo in questo momento che stai aprendo la porta di casa.
Sei appena partita da questo mondo e già tornata nel tuo.
Stento a credere che fossi qui appena quattro ore fa.
Stavo per chiudere e invece sì, ho dimenticato l’ancora.
E’ importantissima.
Dall’uovo parte un’ancora, è lanciata nel mare del mondo immobile.
L’ancora rimbalza sull’onda, non la scalfisce nemmeno.
Cemento su cemento.
L’ancora è fatta di due frecce che hanno la stessa origine.
Sono due frecce perfette, se ci fosse un quadrante segnerebbero le nove in punto.
La più corta mira la barca fantasma, l’altra porta lo sguardo verso il vuoto del cielo.
A guardarle mi si riempiono gli occhi di lacrime.

19 novembre 2009

Il tessitore-contadino

Riprendendo un discorso intrapreso da Nicola sulla non sostenibilità delle città, vorrei raccontare meglio il sistema produttivo che qualche anno fa rendeva funzionale Prato.

A differenza di molte città industrializzate del nord, a Prato c'era un livello di sostenibilità anche in tempi non lontani, diciamo fino agli anni sessanta e anche settanta, poi gradualmente tutto è cambiato. Era sostenibile perché il tessitore pratese non doveva andare in fabbrica per lavorare, perché il telaio lo teneva sotto casa. Dietro casa aveva il campo perché il tessitore pratese era un contadino smesso come si dice noi, ma noi toscani non ci riesce ad andare a farci comandare dai padroni. La moglie del tessitore dava una mano al telaio quando il marito era nel campo, i figli imparavano il mestiere e facevano i cannelli. Anche i lanifici, da qui il tessitore prendeva il lavoro, erano piccoli e numerosi. Spesso il tessitore non aveva neanche il camioncino perché c'era il "barocciaio" e le tele venivano annodate a mano oppure c'erano i primi "annodini" con la macchinetta.
Adesso, a causa dello "sviluppo" tutto è cambiato. I lanifici che gli è rimasto solo il nome di naturale, si sono internazionalizzati, producendo tante schifezze sintetiche mischiate a fibre naturali, che rendono il tessuto non più riciclabile come lo era un tempo. Ricordiamo che Prato era famosa per i "cenci", si riusciva a fare un tessuto di qualità con materiale riciclato.
Il tessitore- contadino si è estinto, i figli arrancano per andare in pensione, i nipoti si sono indebitati creando piccole tessiture all’avanguardia, che adesso devono smantellare svendendo i telai alla Tunisia o ad atri paesi dove la manodopera non costa nulla.
I cambiamenti sono avvenuti in modo graduale, la tecnologia ha fatto in modo che con la stessa manodopera si potessero mandare più telai e più veloci, così che ci voleva lo stanzone più grande, fatto lo stanzone non andava più bene, perché ci voleva la zona artigianale, fatta la zona artigianale si è detto che la produzione del tessuto non è da paese sviluppato, si deve fare in paesi emergenti, si compra e si rivende per guadagnarci di più.
Di tessitori pratesi ormai ce n'é rimasti pochi, le tessiture hanno operai stranieri, nella zona artigianale ci sono per la maggior parte confezioni cinesi, che spuntano come funghi creando un sistema a circuito chiuso.


Questo video è stato girato nella periferia di Prato, quando ancora il lavoro veniva sostanzialmente fatto sotto casa. Tutti si conoscevano, la gente poteva socializzare e avere momenti di gioco e svago in strada.